La chiesa
Livorno, città di mare esposta alle infezioni che vi giungevano con le merci, fu colpita parecchie volte dalla peste: si raccomandava allora San Sebastiano, considerato taumaturgo contro le malattie pestilenziali. Ma fu nel Quattrocento, precisamente nel 1479, colpita un'ennesima volta dall'epidemia, Livorno si raccomandò al Santo, eleggendolo a compatrono della città e promettendo di dedicargli una chiesa in voto ufficiale il 30 giugno 1479 dal Magistrato della Comunità, che decise di celebrare annualmente con solennità speciale la festa del Santo nel suo giorno liturgico. Se non subito una chiesa, almeno un altare, gli fu dedicato nella pieve di S. Maria e Giulia, retta allora dal dott. Pandolfo de' Medici.
Nel 1521, demolita la pieve di S. Maria e Giulia per far spazio all'escavazione del fosso che circonda la Fortezza Vecchia, costruita da Antonio da Sangallo per ordine del Cardo Giulio de' Medici (il futuro papa Clemente VII), la statua lignea che ornava l’altare dedicato al Santo venne traslata nella vicina chiesa di S. Giovanni officiata dai Padri Agostiniani e si rinnovò il voto della futura chiesa.
Negli anni 1629-30 scoppiò la peste di manzoniana memoria: anche Livorno ne fu colpita in modo tragico. Come Dio volle, il contagio passò e i Barnabiti, che dall'anno precedente erano venuti in Livorno come penitenzieri della chiesa maggiore, si fecero promotori affinché il voto divenisse finalmente realtà, prendendo su di sé l'onere e l'onore dell'impresa cittadina. La deliberazione ufficiale che decretava la costruzione del nuovo tempio porta la data 31 dicembre 1631. Sei mesi dopo il granduca regnante, Ferdinando II de' Medici, concesse a tale scopo due capannoni delle Fornaci del Mulino a Vento, già usate per fabbricare i mattoni serviti per la costruzione dei Forti e della Cinta che protegge la città. L'atto di concessione del terreno, del valore di duemila scudi, porta la data del 6 luglio 1632. L'incarico dell'adattamento dei capannoni granducali in chiesa, venne dato all'architetto Giovanfrancesco Cantagallina, fratello del più noto Antonio, anche lui architetto, e di Remigio, pittore (uno dei quattro affrescatori delle facciate dei palazzi del centro di Livorno).
La chiesa, portata a termine in un anno, aveva forma rettangolare, con campanile e piccolo convento a sinistra. L'altare maggiore era in legno, così come la statua del Santo titolare; ai lati, quattro modesti altari con altrettanti confessionali. Il soffitto fu affrescato dai fratelli Ghirlanda, di Carrara.
Il 16 agosto 1633, alla presenza dell'Arcivescovo di Pisa (Livorno non era ancora Diocesi), la chiesa venne consacrata e con solenni cerimonie vi si iniziò il servizio pastorale e liturgico. Contitolare della nuova chiesa era S. Rocco, l'altro protettore degli appestati.
Quarantaquattro anni dopo, cioè nel 1677, importanti lavori di restauro e di abbellimento vennero eseguiti nel nuovo tempio ad opera dell'architetto Giuseppe De Lorenzi. Il tetto venne rialzato, la nuova volta venne affrescata dai fratelli Giovambattista e Gerolamo Grandi, milanesi, nel 1683.
Vi si leggeva in un cartiglio:
«Ecclesia votiva civitatis Liburni, ob pestem edomitam, Divo Sebastiano dicata ».
Al termine dei lavori la chiesa appariva così.
La facciata aveva unà sola porta, sormontata da un timpano e da duplice cornicione. Ai lati, due nicchie con due statue in marmo rappresentanti i santi Stefano e Lorenzo (sono quelle che esistono ancora oggi). All'interno, il primo altare a destra era dedicato alla Madonna del Carmine, con la pala dipinta dal francese Paolo Rone. L'altro altare, a sinistra, era dedicato a S. Bartolomeo. Sopra la porta laterale a destra, un dipinto del messinese Domenico Ruggeri rappresentava S. Filippo Neri. Immediatamente dopo questa porta veniva un altro altare, dedicato a S. Margherita vergine e martire, anch'esso con pala dipinta dal Rone: più tardi questa pala è stata rovinata, per inserirvi l'immagine di S. Gaetano.
L'altare maggiore era di marmi pregiati. Due coppie di colonne di marmo con capitelli corinzi lo fiancheggiavano, sormontate dalle statue in marmo della Fede e della Carità. La pala era una grande tela del romano Francesco Briglia. Raffigurava in alto S. Paolo protettore della Congregazione dei Barnabiti, in basso S. Sebastiano, titolare della chiesa, e il beato Alessandro Sauli barnabita. Ai fianchi dell'altare maggiore c'erano due confessionali, sopra i quali stavano due dipinti raffiguranti S. Antonio di Padova e un Profeta.
Nella parte sinistra del tempio si aprivano, come s'aprono tutt'ora, tre cappelle, da una delle quali si accede anche alla sagrestia.
Quella prossima all'altare maggiore era ed è dedicata a S. Giuseppe, con la volta affrescata dai carraresi fratelli Ghirlanda e con la pala dell’altare dipinta dalla scuola del Maratta. Contigua v'era - come al presente v’è - la cappella della S. Casa di Loreto, consacrata il 25 marzo 1639. La terza era (ed è) la cappella del Crocifisso. L'immagine del Redentore sofferente fu fatta eseguire dai Barnabiti nel 1643 ed è copia di quella che, a grandezza naturale, si venera a Stirolo, presso Loreto. Di fianco c'erano due dipinti raffiguranti S. Francesco di Sales e S. Teresa d'Avila.
Nella volta era affrescato il trionfo della Croce e nelle pareti episodi della Sacra Scrittura preannuncianti la Croce. Un'altra cappella si trovava nei locali interni del convento: era dedicata al Sacro Cuore (devozione praticata dai Barnabiti ancor prima della sua divulgazione ufficiale ad opera della Chiesa). Vi si ammirava un magnifico Angelo Custode, ancora dipinto dal francese Paolo Rane, e qui aveva sede la Confraternita dell'Angelo Custode che, assieme a quella di S. Sebastiano, tanto impulso diede alla vita religiosa di Livorno.
Nel 1782, messe in atto a Livorno dal proposto Baldovinetti le riforme giansenistiche caldeggiate dal vescovo Scipione de' Ricci e imposte dal granduca Pietro Leopoldo, i Barnabiti dovettero lasciare la loro chiesa, che venne affidata a sacerdoti secolari.
Vi ritornarono il 20 gennaio 1792, giorno in cui si svolgeva per tradizione cittadina la processione di S. Sebastiano. Un anno dopo, nel 1793, la chiesa, in base a un nuovo ordinamento, venne elevata al grado di viceparrocchia e l'anno successivo (1794) ricevette un cospicuo lascito perché vi venisse celebrata, alle ore 13 di ogni giorno festivo per comodo della gente di mare, una S. Messa. Il pio benefattore fu il conte Francesco Pagani di Genova.
Nel 1810, in seguito alla soppressione napoleonica degli Ordini Religiosi, i Padri Barnabiti dovettero indossare l'abito del clero secolare, pur seguitando a svolgere il sacro ministero nella loro chiesa. Tramontata quattro anni dopo la stella del grande Corso, i Barnabiti poterono nuovamente e definitivamente riprendere la divisa della propria Congregazione e proseguire indisturbati la loro attività religiosa e pedagogica.
Nel 1820 la chiesa, per ovviare ai danni causati dal terremoto, dovette essere sottoposta a nuovi restauri. Il loro ricordo viene tramandato da un'epigrafe marmorea che si trova anche oggi sopra la porta centrale d'ingresso, all'esterno. In occasione di questi restauri il pittore Luigi Quirici ritoccò malamente gli affreschi del soffitto eseguiti dai fratelli Grandi, in sostituzione di queolli danneggiati che erano stati eseguiti dai fratelli Ghirlanda. Intanto, il 6 marzo 1874, la chiesa di S. Sebastiano venne eretta in parrocchia dal Vescovo d'allora Mons. Metti.
Altri lavori di restauro vennero eseguiti nel 1879, sotto la direzione dell'architetto Francesco Bevilacqua e per iniziativa del primo parroco Giuseppe M. Piccioni, come attestano due epigrafi (una in italiano, l'altra in latino) poste all'interno del tempio, ai fianchi della porta centrale. Trascriviamo quella italiana, di più comune comprensione:
« A onore e gloria di Dio solo, a salute degli uomini. Questa chiesa, innalzata con pubblico denaro da Giovanni Cantagallina l'anno 1633 pei Chierici Regolari di S. Paolo, e da Giuseppe De Lorenzi dopo 44 anni ampliata con la volta, Giuseppe Maria Piccioni, incuorato da Raffaello Mezzetti Vescovo di Livorno il quale la consacrò con rito solenne il dì 27 agosto 1879, senza paura dei tempi, con l'opera e col consiglio dei parrocchiani e con l'aiuto di altri cittadini, fece ristorare e ornare a Francesco Bevilacqua, che in tre anni, per grazia divina, adempì l'ufficio ed il comune desiderio l'anno 1879 ».
Tali restauri comportarono l'abolizione dei due altari laterali che venivano subito dopo l'ingresso, a destra e a sinistra: essi vennero sostituiti da due confessionali in marmo. Il dipinto della Madonna del Carmine andò a sostituire la danneggiatissima pala di S. Margherita del Rane. Anche i dipinti del soffitto vennero rinnovati, per la terza volta ormai, da Annibale Gatti romagnolo, che vi affrescò «La Vergine assunta in cielo dagli Angeli» e «La gloria di San Sebastiano ». I lavori di ornato vennero rifatti a loro volta da Olinto Pucci. Sopra i due nuovi confessionali marmorei vennero collocati i dipinti di S. Gaetano (quello inserito maldestramente nella tela di S. Margherita del Rone?) e un Profeta di scuola Romana (probabilmente quello già esistente nella chiesa).
In questa occasione venne collocata sopra l'altare esterno della cappella della Madonna di Loreto un'opera molto importante, cioè il bassorilievo dell' Annunciazione eseguito da Giovanni Duprè. Negli anni successivi la chiesa si arricchì anche di un coro semicircolare, dietro l'altare maggiore, corredato di scanni per i religiosi e con due aperture sul presbiterio.
Dopo tutto questo fervore rinnovatore, i decenni si susseguirono con le loro alterne vicende, fino ad arrivare all'infausto 1940, quando lo scatenarsi dell'ultima guerra fece piovere su Livorno bombe aeree a migliaia. La chiesa di S. Sebastiano, vista dall'esterno, sembrava indenne, ma non fu così per i locali annessi, il convento e le scuole. A questo grave malanno si aggiunse presto quello della creazione, da parte dei tedeschi occupanti, della «zona nera». Così, con l'evacuazione della città da parte della popolazione, anche i Barnabiti dovettero allontanarsi, ma non troppo, perché l'eroico P. Guglielmo Bonfilio continuò a vegliare come poté sulla chiesa e, soprattutto, sui parrocchiani. Si mise in salvo il salvabile, ma ai danni delle bombe s'aggiunsero ben presto, purtroppo, le depredazioni dei vandali in divisa militare e no: tedeschi, italiani e « liberatori ».
Il lento successivo normalizzarsi della situazione, a pace riacquistata, permise ai Padri Barnabiti di riprendere il loro posto e di fare un bilancio di quanto era rimasto. Con paziente insistenza, iniziarono anche le pratiche per ottenere la ricostruzione del distrutto, la riparazione del danneggiato e il ritrovamento o la sostituzione dello scomparso. Come siano state ripristinate la chiesa e le sue dipendenze ognuno può vedere oggi coi propri occhi.